I manifestanti a Lima e gli abitanti della regione di Puno nelle Ande meridionali hanno sfidato il severo divieto della polizia di manifestare nel centro della capitale peruviana.
La capitale peruviana è stata dichiarata in massima allerta a causa delle forti piogge. (foto: PL)
Sebbene le piogge torrenziali che stanno devastando le terre peruviane assorbano i timori della popolazione, due eventi significativi di questa settimana hanno dimostrato che le proteste contro il governo di Dina Pouluarte continuano per il malcontento.
Le manifestazioni dei residenti di Lima e della regione di Puno nelle Ande meridionali, una roccaforte delle proteste iniziate dopo la caduta del presidente Pedro Castillo, il 7 dicembre hanno sfidato il severo divieto della polizia di tenere manifestazioni nel centro di Lima.
I residenti del comune di Puente Piedra hanno condotto una marcia combattiva e partecipata con i residenti di Puno, il cui distretto ha mantenuto la protesta, con pause, per più di tre mesi.
Da allora, le richieste sono state le dimissioni del presidente, la richiesta di elezioni presidenziali e legislative rapide e l’indizione di un referendum sull’importanza dell’Assemblea costituente.
La mobilitazione, voluta dal coordinatore del distretto di Puente Piedra, proponeva di percorrere, sotto un caldo intenso, 26 chilometri dal centro storico di Lima, ponendo il veto alle marce dell’opposizione.
Quando sono avanzati nei primi chilometri, la polizia antisommossa ha interrotto il raduno con gas lacrimogeni e colpi di mazza, in modo simile a quanto accaduto con altri movimenti.
D’altra parte, gli attivisti sociali hanno rinnegato lunedì scorso il ministro dell’Energia e delle miniere, Oscar Vera, e il viceministro della sanità, Henri Ripaza, quando hanno visitato, rispettivamente, le città di Abancay e Ayacucho nelle Ande meridionali.
Gli attivisti li hanno definiti assassini, con le morti in quelle zone che fanno parte del totale di 66 morti, una cifra suddivisa in 48 uccisi in disordini, un poliziotto ucciso, sei soldati annegati in un fiume e 11 civili uccisi in incidenti correlati. per proteste.
La morte dei soldati nella zona di Puno è stata ufficialmente attribuita all’assalto dei contadini che li hanno costretti a tuffarsi in acqua, ma il noto giornalista che ha seguito l’incidente ha rivelato che non c’è stata tale aggressione e che i morti sono avvenuti. per negligenza dell’ufficiale in comando, costringendo le truppe a tuffarsi in acqua con il loro equipaggiamento pesante in un fosso.
I media di Puno hanno avvertito che l’accusa contro gli indigeni Aymara ha suscitato indignazione e ha esacerbato il clima di protesta.
D’altra parte, l’Assemblea Nazionale dei Popoli, un blocco composto da organizzazioni sociali e partiti progressisti, ha organizzato durante la settimana una giornata di mobilitazione nazionale per gli obiettivi perseguiti dalle proteste iniziate a dicembre.
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